La terribile morte sul lavoro di Satnam Singh, bracciante agricolo nelle campagne di Latina, ha fatto emergere, ancora una volta il massiccio sfruttamento dei lavoratori stranieri, l’utilizzo sistematico del caporalato, la drammatica mancanza di sicurezza che dall’inizio dell’anno ha già fatto 500 vittime, senza contare gli infortuni, anche invalidanti, su cui la ricognizione è assai più problematica, data l’enorme diffusione di lavoro nero e sommerso. Tra i settori a più alta incidenza di morti sul lavoro, oltre all’edilizia c’è proprio l’agricoltura. Ma ad emergere, come sempre, è stata anche l’insopportabile ipocrisia dei papaveri della politica e del sindacalismo di stato. Anni di misure rivolte ad emarginare i migranti, di politiche del lavoro che favoriscono la precarietà, i rapporti di lavoro atipici e le varie forme di sfruttamento, per tutti e a maggior ragione per i lavoratori stranieri; anni di incentivi economici a tutto vantaggio dei padroni, dalle grandi imprese a quelle piccole; anni di guerre e di politiche che scatenano povertà nel mondo, creando condizioni di invivibilità che costringono a migrare. Queste enormi responsabilità, che gravano come macigni sui vari governi succedutisi e sui sindacati asserviti ai governi, sono via via condite dalle esternazioni di turno.
Durante il Covid il blocco delle frontiere mise in luce che mancavano 400.000 lavoratori agricoli stagionali, evidentemente stranieri, quelli che tengono in piedi il settore della produzione agroalimentare. Perché il tanto decantato made in Italy, di cui si è voluto istituire anche un demenziale indirizzo di studi all’insegna dell’identitarismo nazionale, nasce dal sudore e dal sangue di tanti lavoratori stranieri che spesso lavorano in condizioni simili alla schiavitù.
Recovery plan e PNRR avevano dato a intendere che rivoluzione verde e transizione ecologica avrebbero rilanciato anche l’agricoltura; sappiamo come è andata a finire: nelle campagne si lavora ancora in condizioni tragiche e i profitti, come sempre, si maturano sullo sfruttamento selvaggio dei lavoratori.
Un anno fa la ministra del lavoro e delle politiche sociali Calderone lamentava la mancanza di 100.000 lavoratori nell’agricoltura; la colpa all’epoca veniva data al reddito di cittadinanza, responsabile di tenere sul divano gli sfaccendati che avrebbero potuto più meritevolmente zappare. In attesa che il reddito di cittadinanza venisse tolto, il boss sindacale Landini, sostenuto dal coro unanime della sinistra istituzionale, propose di impiegare più immigrati in agricoltura. Proprio così: non tanto rendere più appetibili, pagati e sicuri i lavori agricoli, quanto impiegare i migranti su quei lavori supersfruttati. La destra, sempre restia ad avere i migranti tra i piedi, replicò con un’altra ideona: nei lavori agricoli potevano essere impiegate le donne, consentendo così di alleggerire il gap occupazionale femminile che ci fa sfigurare in Europa. Tanto le donne, nella scala sociale, sono vicine agli schiavi. Questo il livello del dibattito sul lavoro in agricoltura. Nel frattempo, mentre le luminose menti di chi pretende di rappresentarci si intrattengono su questo dibattito, nelle campagne si continua a lavorare in condizione di schiavitù, 14 ore al giorno, per 3 euro all’ora, senza sicurezza, si continua a lavorare e si continua a morire.
Satnam Singh, orribilmente mutilato da un macchinario e lasciato senza soccorsi, scaricato davanti a casa con il suo moncherino, arrivato dopo quasi due ore nell’ospedale dove è morto dissanguato, non poteva lasciare indifferenti. E infatti abbiamo sentito tanti discorsi di sdegno. Meloni ha parlato di atti disumani che non appartengono al popolo italiano, puntando come sempre sull’italianità, dando subito a quanto accaduto un valore di eccezionalità e disconoscendo quindi la strutturale problematica del settore agricolo. Sullo stesso tono il ministro dell’agricoltura Lollobrigida, quello che a proposito di migranti parlò di sostituzione etnica, il quale si è premurato di sottolineare come si debba evitare, per un episodio anche grave come questo, di criminalizzare gli imprenditori agricoli; il riferimento di Lollobrigida era alle scritte apparse sulla sede lombarda di Confagricoltura, riguardo alle quali il ministro ha espresso ferma condanna, quella condanna che ancora non abbiamo sentito concretamente esprimere verso il sistema del caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori. Lollobrigida inoltre ha scaricato le responsabilità di quanto accaduto sui lavoratori stranieri, che arrivano in troppi e non formati, affermando che bisogna contenere i flussi e formare i lavoratori al paese loro, prima che vengano in Italia. La ministra del lavoro Calderone ha promesso maggiori controlli ed ispezioni, ma non ha speso una parola su miglioramento di contratti, orario di lavoro e retribuzione: si dà per scontato che ci siano situazioni di sfruttamento, magari occasionalmente anche da sanzionare, ma non si prevede certo di rimuovere lo sfruttamento.
Dall’altra parte, abbiamo sentito Schlein reclamare la revisione della Bossi Fini, ma nessun accenno è stato fatto alla Turco Napolitano o alle misure antimigranti di Minniti.
Parole di condanna per le situazioni di sfruttamento lavorativo dei migranti sono giunte anche da Matteo Biffoni, ex sindaco piddì di Prato, responsabile Anci per l’immigrazione. Peccato che quando era sindaco di Prato abbia contrastato alcune importanti lotte e vertenze sindacali, come quella dei 22 licenziamenti alla Iron&Logistic, vertenze attuate da lavoratori migranti, molto numerosi in un distretto come quello di Prato. Evidentemente si sostengono i lavoratori migranti quando sono vittime dello sfruttamento, quando sono da compatire, ma quando si organizzano sindacalmente e rivendicano i loro diritti rappresentano, come tutti i lavoratori, un problema da contrastare.
Cinquemeno